Ascoltare è fondamentale per comprendere nuovi modi di innovare, perchè il cambiamento fa parte dell'evoluzione.
Quante volte, negli ultimi mesi, si è sentita la frase << tornare alla normalità>>?
Quello che di solito fanno le aziende, o che dovrebbero fare, è ascoltare quali sono le esigenze dei consumatori, comprendere come poter creare prodotti e servizi che possano sopperire alle loro richieste. Come possiamo tornare ad essere le persone e quindi i consumatori che eravamo dopo che le nostre vite sono state completamente stravolte dagli effetti di Covid-19? Se ci si pensa, in effetti anche prima di marzo 2020 le nostre vite non erano scandite dalle stesse abitudini del 2005, e non utilizzavamo gli stessi prodotti, strumenti e servizi del 2015.
Il cambiamento fa parte dell’ evoluzione. Lo ha detto un omino barbuto qualche centinaio di anni fa e lo abbiamo studiato sul sussidiario delle elementari. Ce lo siamo dimenticati?
Il Sindaco Appendino, qualche giorno fa, ha pubblicato sul suo profilo Linkedin il video che introduce il primo dei 70 nuovi tram che sono stati acquistati per la città di Torino e che verranno attivati dal mese di gennaio. Se gli amministratori della città piemontese hanno deciso di investire in nuovi mezzi pubblici, è perché hanno ascoltato le esigenze di chi la città la vive; hanno compreso che Torino è vissuta da persone (non solo cittadini ma anche chi arriva da fuori) con esigenze diverse e hanno agito fornendo mezzi adeguati alle loro necessità. Il nuovo tram si trova nella sede napoletana di Hitachi Rail. Questo mi ha fatto tornare indietro con la memoria ai tempi dell’università, su cui apro una parentesi perchè si lega a quanto appena detto.
Ho frequentato il corso di Industrial Design allo IED di Milano. Per chi non lo sapesse, una particolarità dell’istituto, è che i docenti sono tutti liberi professionisti. Dal primo all’ultimo giorno di corsi hai la possibilità di apprendere da chi il mondo del lavoro, con le sue problematiche e aspettative, lo vive tutti i giorni. Questo significa che una volta diplomato sei da subito operativo: conosci i principali software indispensabili per lo sviluppo di un progetto, dall’analisi iniziale alla comunicazione, e sai già su quali dinamiche e tempistiche di basa la vita in di un progettista qualsiasi sia il settore di specializzazione: moda, fotografia, grafica o prodotto.
Per coerenza, il percorso di studi si conclude con un progetto finale sviluppato in collaborazione con un’azienda, nel mio caso proprio HITACHI. Il tema su cui lavorare si chiamava Digital love. Lo scopo era quello di ideare dei prodotti tecnologici verso i quali i consumatori potessero, in qualche modo, affezionarsi. Coordinati dal designer Setsu Ito abbiamo ragionato su come si potesse fare in modo che una volta che il prodotto avesse “esaurito” la sua funzione, non venisse buttato via. Ma soprattutto, a cosa ci si affezionasse davvero, al prodotto o a quello che permetteva di fare? *
L’ obiettivo richiedeva di osservare le persone, ascoltare le loro necessità, comprendere come tecnologia e affezione potessero convivere.
Nella fase di brifing l’azienda condivise con noi diplomandi tutta una serie di informazioni sulle tecnologie disponibili o in fase di sviluppo, e che sarebbero state immesse nel mercato nei successivi 5/10 anni. Considerando che le prime chiavette USB di allora offrivano 8 mega (?) – vado a memoria! – i miei compagni di corso ed io eravamo rimasti stupefatti nel sapere che a breve avremmo utilizzato memorie USB grandi come una moneta e capaci di contenere dati per 30/50 giga e più. L’azienda già ragionava sullo sviluppo di prodotti con sottili schermi touch, comunicazione bluetooth e connessione dati veloce, tutte cose che oggi fanno parte della nostra quotidianità, ma che vent’anni fa lasciavano ampio spazio all’ immaginazione di prodotti che potessero migliorare la vita delle persone a livello personale, sociale, medico, sportivo…
Gli occhi vedono soltanto ciò che la mente è pronta a comprendere.
Henri Bergson
Tornando al sindaco Appendino e al video pubblicato, si nota che nel presentare con orgoglio ed evidente emozione i nuovi tram che circoleranno per Torino, in più occasioni la prima cittadina pone l’accento sull’accessibilità del mezzo. Perché sa che è destinato ai suoi cittadini, e sa che tra i torinesi ci sono persone con necessità diverse. Chiara Appendino vuole migliorare la qualità della vita della società di cui è responsabile e lo ha fatto con HITACHI la cui vision, come si legge chiaramente sul sito, <<è radicata nella determinazione del fondatore Odaira di contribuire alla società attraverso lo sviluppo di tecnologie e prodotti originali e di qualità superiore.>> Semplificando direi, una realtà focalizzata sul cliente.
Martin Lindstrom, scrittore e consulente danese, evidenzia come la crisi delle aziende sia determinata dal divario che si crea tra l’organizzazione, i suoi collaboratori e i suoi clienti. Le società che crescono, e nei momenti di crisi sopravvivono, sono quelle che inseriscono i bisogni dei clienti nel proprio DNA e che mantengono viva la relazione con essi. Visto che oggi tutti noi siamo cambiati, si presume che anche i profili dei consumatori vadano riscritti.
Su Youtube ci sono numerosi video ed interviste in cui Jeff Bezos dichiara che uno dei pilastri su cui è fondata Amazon è l’attenzione al cliente. Non voglio toccare, in questa sede, la tematica legata all’impatto ambientale della principale società di commercio elettronico, ma voglio focalizzare l’attenzione sul fatto che sviluppare servizi sui bisogni del consumatore ha portato Amazon ad essere, nel 2020, la terza azienda che vale di più al mondo. (E, per la cronaca, Jeff Bezos ha iniziato a vendere libri on-line da un minuscolo ufficio.)
Ora, per citare nuovamente Lindstrom: le aziende conoscono davvero i bisogni dei loro clienti? Se la risposta era dubbiosa prima del Corona Virus , oggi le organizzazioni hanno una nuova opportunità: ascoltare come sono cambiate le necessità dei loro clienti dopo la drammatica esperienza, mettere in atto nuovi piani per mantenere vivo il legame con essi e non cadere nella vecchia trappola del << abbiamo sempre fatto così>>.
* Per chi fosse curioso di sapere quale prodotto ideammo io e il mio compagno di tesi, si trattava di un Baby album/monitoring in grado di registrare e conservare tutti i momenti più significativi di un bebè nei primi tre anni di vita. Questo è il periodo della crescita in cui si verificano più cambiamenti ed è caratterizzato da tante prime esperienze. Arianna, così chiamammo il prodotto in riferimento al filo di lana protagonista del mito greco, era stato studiato per registrare e conservare tutte le evoluzioni più importanti di un bimbo diventando una “album dei ricordi” di ultima generazione da conservare per tutta la vita.
Quanti di voi hanno gettato l’album delle foto di quando erano piccoli?